Vietnam, 21 Settembre 1967
Camp Thunder, secondo plotone della "Squadra Alpha"
I musi gialli si sono ritirati, almeno per ora. Sono le 20.38 e i miei "compagni" stanno di nuovo tirando di coca.
Dicono che ne hanno bisogno per "avere delle qualità fisiche migliori". Sì, certo, tutte cazzate. Coglioni.
Sono le 21.12 e sono già tutti strafatti. Che bella cosa. Passo tutta la sera a sorseggiare whisky. Okay, non sorseggio.
Sto bevendo come un dannato.
Sento un rumore fuori dall'accampamento. La sentinella è già crollata. L'unico "sano" qua, sono io.
Esco a controllare. Quattro fottutissimi musi gialli mi puntano contro i loro fuciloni.
Parlano nella loro lingua da fottuti musi gialli e non li capisco.
Ne vedo un'altra decina, escono dall'ombra e sterminano tutti i miei "compagni".
Uno dei Vietcong mi mette un sacco nero in testa, mentre gli altri mi colpiscono coi calci dei fucili.
Svengo dopo un po' di colpi.
Mi risveglio dopo qualche ora. O almeno a me è sembrato così, il tempo passato da svenuto.
Sono legato ad un tavolo arruginito, con delle manette ai polsi e alle caviglie, ovviamente a torso nudo.
Chi lo sa se questi bastardi si eccitano a vedere il mio fisico scolpito. Pervertiti.
Ce n'è uno, credo sia il mio carnefice. Ha un abito di plastica, tipico dei torturatori. Una maschera antigas e un martello in mano.
Mi preoccupa più la maschera che il martello. Buffo.
Lo stronzo parla e, ovviamente, io non lo capisco. Insiste. Urla, ma nulla, non capisco una parola.
Mi tira un pugno in faccia, tutto incazzato. Io gli rido in faccia.
Finalmente si decidono a chiamare un interprete.
"Dicci il tuo nome, cognome, grado d'affiliazione e il nome del tuo generale."
Non rispondo.
Un altro pugno.
"Ripeto, dicci il tuo nome, cognome, grado d'affiliazione e il nome del tuo generale!"
Ancora non rispondo. Non per spirito patriottico, ma perché mi diverto.
Prevedibilmente il "carnefice" mi tira un altro pugno. E ancora gli rido in faccia.
"Cos'hai da ridere, sporco capitalista?!"
Gli sputo in faccia.
"Sai come mi chiamavano gli altri soldati?"
"C-Cosa?!"
"Headshot. Per la mia mira infallibile. Ah, e il vostro amico avrà bisogno di un medico. Anzi no, di un coroner."
Il "carnefice" cade a terra, con un buco nell'occhio e il mio molare ficcato nel cervello. Ottimo.
"Torturate il capitalista!"
Ecco, mi sono messo nei casini. Arriva un altro "carnefice". Più grosso e incazzato. Prende dei transistor e mi piazza le pinze sui capezzoli.
Accende la macchina. Scariche da centocinquanta volt passano per il mio corpo. Un dolore allucinante.
Le scosse durano poco, ma lo stretto necessario per farmi urlare. Cosa che non ho fatto, ovviamente. Solo per fargli girare i coglioni.
Non contenti di quest'ultimo risultato, decidono di accendere un enorme pompa d'acqua gelida industriale.
Me la sparano addosso. Mi colpiscono duecento kilometri orari di acqua gelida. Molto doloroso.
Io non ho ancora detto parola. E loro non sono ancora contenti.
Allora decidono di prendermi a catenate in faccia. E lì son dolori.
Catenate su catenate, ma io ancora non urlo nè dico nulla.
Dopo tutto questo, mi prendono di peso, mezzo morente, e mi attaccano per i polsi a delle catene attaccate al soffitto.
A turno mi prendono a pugni in faccia e sul corpo, come fosse un gioco. Il punto è che ho smesso di divertirmi.
Sento le costole spezzarsi sotto i colpi.
L'interprete mi fa:
"Non sei ancora stanco, sporco Americano?!"
Gli faccio di no con la testa, per poi sputargli sangue in faccia.
Continuano a prendermi a pugni per una ventina di minuti, finchè non svengo.
Mi rinchiudono in una cella sporca, buia e piena di topi.
Come "nutrimento" mi danno una specie di brodaglia puzzolente e marrone. Due volte al giorno. Questo sì che è lusso.
Giornaliarmente mi picchiano e torturano per due ore, per poi sbattermi non contenti in cella.
Vietnam, cella di detenzione, 28 Settembre 1967
Oramai è quasi fatta. Sono riuscito a liberarmi le caviglie l'altro ieri e oggi anche i polsi.
Ho fabbricato un rudimentale coltello con i piatti di ferro che mi lasciavano nella cella.
Quanto sono stati idioti a lasciarmi tutto quell'"armamentario".
Nascondo il coltello nei pantaloni, prima che vengano a prendermi per il "trattamento estetico" giornaliero.
"Oggi come sta il nostro ospite Americano?"
"Bene, bene, solo che il cibo non è il massimo. Gradirei parlare col cuoco."
"Ah-ah, è anche spiritoso!"
Il traduttore mi tira un pugno, deridendomi con gli altri suo amichetti nella stanza.
Sono sette, in totale. Tre armati con dei fucili, due con delle catene, uno con un machete e il traduttore con un coltello.
"Vediamo se dopo questo sarai ancora spiritoso."
Mi fa un taglio col coltello che parte da sopra il sopracciglio sinistro fino alla guancia. Fortunamente non ha toccato l'occhio.
"Idiota."
"Come hai detto?!"
In riproduzione: Motorhead - Ace Of Spades
Con le gambe gli prendo la testa, rompendogli l'osso del collo.
Afferro il suo corpo morto come scudo umano.
Corro incontro ai tre armati di fucili.
Lancio il corpo addosso al tizio più a sinistra.
Con una scivolata rompo le gambe di quello a destra.
Gli infilo il coltello alla tempia e prendo il fucile.
"Assaggiate un po' di amore Americano, figli di puttana!"
Inizio a sparare, falciandoli tutti.
Ne lascio solo uno.
"Vieni qua, bastardo!"
Cerca di trascinarsi fuori dalla stanza per chiamar soccorsi. Gli falcio le gambe con un po' di sano piombo.
"Tu dirai ai tuoi amichetti del cazzo che James Cornelius "Headshot" Nero è stato qua, okay?!"
Parla nella sua lingua che, io, ad ora, non ho ancora capito.
"Fai cenno se hai capito, coglione."
Mi fa un cenno. Gli tiro un calcio in faccia e me ne vado.
"Bene, e ora come cazzo me ne vado da questo posto di merda?"
La risposta mi arriva dal cielo. Un elicottero di un telegiornale Americano passa proprio sopra la mia testa.
Che botta di culo!
Agito le braccia, per attirar la loro attenzione.
Una volta atterrati ammazzo sia il cameraman che il pilota. Così, perché potevo farlo.
Prima di partire, però, do fuoco all'accampamento, dimenticandomi dell'ultimo superstite che doveva recapitare il mio messaggio.
Vabè, se lo ricorderanno... Spero.
Dai diari di James C. Nero, Vietnam, 1967.
-Sam