mercoledì 17 agosto 2011

Sublimazione

Vano passaggio da fisico ad astrale, concetto contorto, costretto da forze simil-divine impotenti dinanzi al dominio del senno antropico. Vagabondaggio senza meta nelle lande solitarie della distorta coscienza umana; Vie sozze di desideri inespressi, una piazza colma di morte spirituale.
Vene ricolme di sangue tetanico, contagiato da microbi senzienti atti ad obnubilare il desiderio. Arterie recise, zampillanti d'emozioni.
Danza sublime di angeli acefali senza senso, ispirata da oscuri presagi.

L'essere è effimero.
La vita inconclusa.

lunedì 18 luglio 2011

Energie funeste

Zampillanti scintilli d'un'esistenza prossima al trapasso ascetico. Un dubbio cordoglio vaneggiante di mille e più esperienze peccaminose all'insegna del disfacimento dell'Io, ingannevole confessione del senno corrotto dell'eventualità d'una possibile salvezza di Dèi menefreghisti, un irrisorio beneficio presidiato dall'incertezza di un'esistenza demolita dalla dicotomia tra Individuo e Spirito, abbandonando quel terzo trasversale, la Ragione, per un'illusione deleteria che porta all'obnubilamento delle facoltà mentali, sopprimendo sinapsi e neuroni. Il sonno eterno dell'Essere, l'annichilimento del Pensiero, la disfatta della Persona.
Radere al suolo aspettative ed abbagli, un falso testimone in una Giuria d'Eterni menzogneri che danzano spensierati su corpi esanimi di fiere di Gioia e Dolore. La perpetua afflizione, l'urlo di rancore, il silenzio del livore.
Vocaboli sussurrati ad orecchie audiolese, visioni celestiali mostrate ad occhi ipovedenti. Demoniaci codici binari infestano pianeti insussistenti, contaminandone la pura follia degenerandone origine ed efficacia.
L'epilogo d'una realtà, l'esordio di molteplici probabilità.

mercoledì 1 giugno 2011

L'episodio perduto di Spider-Man


Vi ricordate quei cartoni di Spider-Man low budget degli anni ’60? Quelli che ora ci sembrano improponibili da vedere e alquanto trash? Ecco, c’è un lost episode, di quel cartone animato. Un episodio pressoché introvabile, ma, si sa, su Internet si può trovare di tutto, persino quell’episodio.

Qualche mese fa, un mio amico fissato con Spider-Man si mise a cercare il famosissimo episodio perduto, fino a trovarlo, in un sito Russo. Non chiedetemi come abbia fatto a trovarlo, l’importante è che siamo riusciti a trovarne i sottotitoli.
Appena scaricato, il mio caro internettaro non esitò a chiamarmi, e in fretta e furia lo raggiunsi a casa sua per visionare quel materiale introvabile. Ci chiudemmo in camera, luci spente e intrepidanti.
Il video partiva con la classica sigla, dove Spider-Man volteggiava con la ragnatela e tutto il resto, ma, nel punto in cui ferma al volo la trave che stava per colpire i passanti sotto, il filmato si blocca. Pensavamo fosse un errore di Windows Media Player, quindi utilizzammo VLC, per sicurezza. Stessa cosa. Alchè, aspettammo uno o due minuti, fino a che il video non ripartì. Tutto sembrava normale, tranne per il piccolo particolare che le persone che comparivano nella sigla non avevano i volti, tranne l’Uomo Ragno, che, però, aveva gli “occhi” della maschera più stretti, come socchiusi, e le ragnatele disegnate sulla maschera formavano una specie di ghigno inquietante.
Pensammo fosse colpa della produzione scadente di allora o della qualità del filmato, quindi non demmo troppo peso a quei particolari.
Dopo quella sigla insolitamente duratura, comparì la schermata del titolo.
Quella puntata s’intitolava “La fine”, e già da lì un brivido mi percosse la schiena.

Dopo il titolo, parte l’episodio in sé, ed inizia con una scena dell’Uomo Ragno in piedi su di un tetto, che guarda verso il basso, con una musichetta inquietante come sottofondo, una sorta di stridii di violini, una musica triste e spaventosa al contempo. Spider-Man resta lì fermo per trenta secondi circa, fino a che il cielo non diventa rosso, e a quel punto si lancia dal tetto, in picchiata verso la strada. Non si muove, durante la caduta. Non volteggia, non lancia ragnatele, nulla. Sembra solo voler schiantarsi sul suolo. L’impatto è imminente, ma non fa nulla. Il suolo si apre sotto di lui, inghiottendolo al suo interno. Spider-Man si ritrova a cadere per tre minuti di fila in un enorme pozzo, circondato da artigli che lo colpiscono e seviziano, mutilandolo ogni volta sempre di più.
Dopo questi tre minuti quasi infiniti e angoscianti, Peter Parker si schianta sul suolo, ormai morente.
La scena zooma sulla sua maschera, e, ascoltando attentamente, si riesce a sentire un ultimo rantolo: “Ti vedo… Sei morto”.

Alla fine della scena, lo schermo diventa nero, riportando ciò che ha detto in precedenza Spider-Man, seguito dal nome del mio amico, poi il video finisce. Pensavo fosse solo un suo stupido scherzo, quindi al termine del video mi girai per commentare questo episodio così agghiacciante con lui, dato che per tutta la durata del video non abbiamo detto niente, ma non c’era più.
Sulla sua sedia c’era solo una macchia di sangue, con un ragno sopra.

domenica 22 maggio 2011

L'urlo di Saint John

Nelle periferie della Scozia, tra gli abitanti più superstiziosi, nelle notti più buie, si narra una storia. Una storia grottesca, surreale, forse inventata, o forse no: La storia di Saint John.
Nell'Agosto del 1932, Saint John, un ereditario con forti squilibri mentali, venne condannato all'impiccagione per aver torturato e ucciso ventidue bambini. La notte della condanna, però, proprio mentre al collo di John venne legato il cappio, un tuono colpì il patibolo, che prese fuoco. Saint John rimase appeso per il collo, in fiamme, straziato dal dolore. Morì poco dopo, e del suo corpo non rimase altro che un cadavere fumante e carbonizzato. Quella notte, tutti coloro che assistettero a quel macabro spettacolo, giurarono di sentire le urla del condannato. Urla tremende, quasi demoniache, riempirono la notte.
Tutto ciò continuò per quasi una settimana, fino a quando non scoprirono il primo evento paranormale: Durante la notte, un ragazzino di otto anni prese fuoco. Quella fiamma che avvolgeva la povera vittima non si spense, nè poterono far qualcosa per spegnerla. Il bambino urlò e si dimenò fino all'alba, quando il fuoco misterioso si spense, terrorizzando tutti gli abitanti della città.
Poco tempo dopo, un neonato di appena quattro mesi fu ritrovato morto, a pezzi, e appeso alla porta di un locale. Ma questi eventi non erano gli unici a terrorizzare gli abitanti di quella malcapitata cittadina. Durante la notte del 22 Agosto del '32, un urlo simile a quello di Saint John svegliò tutta la città, creando un'isteria generale. Gli abitanti cercarono di scappare, ma un muro di fiamme aveva circondato i confini. Qualcuno scorse una figura magra e in fiamme, in alto, ridere sadicamente, mentre tutti i bambini, in preda al panico, iniziarono a sventrarsi da soli con tutto ciò che trovarono.
La mattina dopo la città non era altro che un ammasso di macerie e cadaveri carbonizzati, tranne che per il patibolo che pose fine alla contorta vita di Saint John, che riportava una scritta incisa sopra: "Il fuoco eterno di Saint John vi trascinerà nell'orrore."

Anni dopo, c'è ancora chi dice di sentire l'urlo di Saint John. Non si sa con certezza se è vero o se è solo suggestione, ma nessuno osa pronunciare ancora il suo nome.

venerdì 29 aprile 2011

Arkham, è solo uno scherzo

"La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. "
Franco Basaglia


L'autista si ferma davanti alla casa di riposo Arkham, e mi scorta molto educatamente oltre i cancelli di questa dimora della tranquillità, sino al cospetto del gran capo, un uomo burbero e dai capelli grigi con un perenne sorriso soddisfatto in volto.
Entrando, noto che il posto è cambiato parecchio da quando me ne sono andato. I reclusi sono abbandonati a loro stessi. Il Cappellaio Matto si ritrova a divorarsi il cappello, cantando stupide cantilene in un loop infinito, Mr Freeze è arido, rachitico e morente, mentre prega le guardie per un po' di ghiaccio. Peccato per lui, il mio freezer è rotto, sennò glielo regalavo. L'Enigmista è in preda ad attacchi isterici dovuti ai suoi nuovi indovinelli che risolverebbe una scimmia ritardata, Killer Croc viene sfruttato dai carcerieri per produrre borse e portafogli a basso costo, Due Facce è caduto in una catatonia da quando la sua moneta è caduta in piedi, incastrata tra le mattonelle della sua cella. E pensare che avevo detto al Dottor Arkham di usare il parquet, per il manicomio.
Tutto, qui, mi è così familiare. Saluto il simpaticissimo signor Cash, e lui ricambia il saluto, agitando quella sua adorabile manina sinistra che, per uno strano evento, ha sei dita. Prima di scortarmi alla mia cella, mi chiedono se gradisco un bicchiere di whiskey, e io accetto volentieri. Dopo qualche formalità, mi accompagnano dolcemente nella mia nuova casa. Una cella bellissima, con motivi floreali e un odore di frutti di bosco veramente piacevole. Mi danno anche la mia tunica di seta, perché sanno che ho la pelle molto sensibile; Dopo tutto ciò, mi siedo comodamente sulla poltrona, sino ad addormentarmi e fare un incubo orribile:

Ci sono dei poliziotti che mi manganellano con forza inaudita, per poi sbattermi in macchina. Dopo un lungo viaggio si fermano di colpo e, con ancora il sapore di sangue in bocca, mi trascinano fuori dalla macchina, ammanettato. Fuori piove, e le gocce di pioggia mi sembrano tanti piccoli spilli che si conficcano con forza nella forza, perforandomi la carne. I lividi sul mio volto fanno ancora male, l'occhio destro è tumefatto e ho una costola incrinata, e quando rido mi fanno male i polmoni. Ci ritroviamo ad Arkham, ma non è il posto che mi ricordo io, è un manicomio pieno di super-criminali! Due Facce, Freeze, Croc, il nano coi cappelli e quella gentaglia cattiva lì è tutta in, se si può dir così, perfetta salute, e mi fissano, quasi sorpresi di vedermi qua. I poliziotti mi trascinano per le braccia per Arkham, per poi farmi picchiare ancora un po' da Aaron Cash, mettermi la camicia di forza e sbattermi in isolamento, in una cella imbottita e ricoperta da uno strato di acciaio inpenetrabile spesso dieci centimetri.
Per fortuna che è solo un brutto sogno e che fra poco mi risveglierò di nuovo nel mio mondo pieno di unicorni rosa putrefatti e super-eroi pedofili che abusano sessualmente di vecchie indifese.

martedì 12 aprile 2011

Dualità

dualità s. f. [dal lat. tardo dualĭtas -atis, der. di dualis: v. duale]. –

1. Qualità o condizione di ciò che è composto di due elementi o principî



Il destino è affidato al caso. Il caso domina le nostre vite, inconsapevolmente.
Lancia la moneta. Testa vivi, Croce muori. Funziona così, io l'ho capito. Ho colto il vero movimento della vita, affidandomi al caso. Diviso in due da una profonda faglia mentale, sono turbato da decisioni imprescindibili legate all'altra metà di me stesso.
Da un lato c'è lo splendido Harvey Dent, ex Procuratore Distrettuale, un uomo magnanimo e dall'impeccabile moralità che dedicò la sua vita al perseguimento della Giustizia. Dall'altro c'è Due Facce, tutta la collera e il rancore del giovane Harvey, accumulati per anni e manifestatosi sotto un aspetto grottesco e sfigurato in seguito ad un incidente.
Mi hanno diagnosticato una schizofrenia paranoica con tendenze omicide e una doppia personalità. Cercano di soffocare la mia vera essenza, il mio lato bestiale, ciò che sono veramente.
Sto affidando ad un calcolo probabilistico la mia vita, in questo momento. Lanciando un comune dollaro d'argento, segnato da un lato, scoprirò se la mia vita deve continuare o meno.
Testa vivo, Croce muoio.
Lancio la moneta. Rotea in aria, riflettendo la luce artificiale d'una lampadina di un modesto appartamento di città. Arriva al culmine, e scende rapida, atterrando sulla mia mano.
L'organo prensile mi trema, impaurito appoggio la moneta, senza vedere, sul dorso dell'altra mano.
Testa.
Vivo.

Sono vivo solo per metà.

lunedì 28 febbraio 2011

La scelta

In un limbo tra oblio e beatitudine mi trovai dinanzi ad un bivio. Due strade a me sconosciute verso l'ignoto. Una era quella della salvezza, l'altra quella della dannazione. Fu una scelta lunga e meditata, ma non avendo un senso dell'orientamento sviluppato abbastanza da sondare gli spazi più reconditi della mia psiche, non riuscii a scegliere. In tasca avevo una moneta antica, donatami da mio padre durante la mia infanzia, un ricordo di famiglia. Una moneta d'oro rovinata, completamente segnata e illeggibile da un lato, mentre dall'altro si poteva ancora scorgere il viso di un qualcuno ormai irriconoscibile. La tirai fuori dalla tasca e la passai tra l'indice e il medio, facendola roterare e lanciandola in aria qualche volta, per poi decidermi. La lanciai per far decidere a lei. Affidai a quella moneta la mia vita. Se fosse uscito testa, avrei presto la strada a sinistra, in caso fosse uscito croce, quella a destra. Quando la moneta atterrò sulla mia mano vidi cosa uscii, intrepidante come un bambino a Natale. Croce. Strada a sinistra. Forte della scelta presa dalla moneta, m'incamminai per un viale lungo, tetro e oscuro, sentendo il presagio di qualcosa di terribile. Non potevo più tornare indietro, la scelta era stata fatta. Gli alberi al ciglio della strada avevano un aspetto grottesco, quasi posseduti da demoni infernali. Sapevo che la mia fine era ormai certa. Stavo addentrandomi sempre più nell'oscura parte nascosta della mia follia, ed ero solo. La strada giunse ad un vicolo cieco, con un muro di proporzioni ciclopiche. Nero come il catrame, lucido e spesso. Quel muro rappresentava l'ipotetico muro che innalzai verso il mondo esterno, rinchiudendomi nella mia misantropia. D'un tratto, dietro di me, si materializzò una figura snella e alta, uno scheletro ricoperto di stretti e lunghi vermi neri e viscidi che cercavano di divorargli gli ultimi pezzi di carne rimasti. Quello ero io. Ero io nel futuro, e i vermi erano i miei fallimenti, mentre cercavano di divorare ogni traccia di speranza che albergava in me. La figura piangeva lacrime tinte di sangue. Quelli erano tutti i miei cari, amici, parenti, amori che persi alienandomi. Mi accasciai per terra, in preda alle più cupe paure, aspettando invano desideroso il tocco gelido del Cupo Mietitore. La moneta scelse di mostrarmi il futuro, uccidendo il presente.

sabato 26 febbraio 2011

La bestia

Era notte fonda. La pioggia batteva incessante sulla finestra di camera mia. I lampi illuminavano la stanza, di tanto in tanto, dandole un aspetto grottesco e al contempo terrificante, dando forma alla figura snella della bestia seduta sul comodino davanti a me. I suoi occhi bianchi mi fissavano, senza chiudersi. Non riuscivo a muovermi. Un brivido continuo di terrore mi pervadeva constantemente il corpo, immobilizzandomi, e la bestia mi fissava ancora. Non faceva nulla, si limitava a fissarmi. Sapeva cos'avevo fatto. Sapeva del corpo della giovane donna seppellita nel giardino. Sapeva tutto, e questo mi spingeva alla follia. Le mie mani erano ancora sporche del suo sangue, l'odore di morte era impregnato su di me, l'immagine degli occhi spenti della ragazza  era fissa nella mia mente. Non ricordo perché l'abbia uccisa, so solo che l'ho fatto. Tre pugnalate al petto, la smorfia di dolore e disperazione sul suo volto. Lacrime di disperazione solcavano il mio volto miste a urli di pazzia. La bestia non toglieva lo sguardo da me. In un raptus di follia mi alzai e presi a calci e pugni tutto ciò che mi circondava, urlando, ma la bestia non si muoveva di un millimetro. Non mi temeva, e il suo sguardo mi trafiggeva come mille lance. Mi avvicinai all'animale, per capirne gli intenti, e mi balzò addosso velocemente. I suoi artigli tagliavano la mia pelle, i suoi morsi segnavano la mia carne, riempendo il pavimento di sangue. Non feci nulla, non mi ribellai né cercai di divincolarmi. La bestia smise poco dopo, scomparendo nel nulla, lasciandomi inerme a terra, sanguinante e folle. La mie mente vacillava in un limbo di irrazionalità. Svenni dopo qualche minuto e mi risveglia in una clinica, stretto da una camicia bianca immacolata.
Mi trovarono sporco di sangue mentre correndo tra le strade della città urlavo "La bestia sa! La bestia sa tutto!"

venerdì 25 febbraio 2011

Ciò che è potrebbe non essere. O forse no.

Come ti comporteresti, quale sarebbe la tua reazione, cosa proveresti se tutto quello che ti è stato detto fin da bambino, l'hai letto nei libri, l'hai sentito alla tv, cosa diresti se tutto questo fosse una menzogna?

Sei controllato. Non hai via di scampo. Il tuo personal computer è una macchina. Controllato dalla casa produttrice. Se sei online, collegato al tuo account di qualsivoglia social network, i tuoi dati, quello che scrivi, che molto spesso sono sensazioni, emozioni, parole dette fra amici ma anche cose che ti piacciono, che non ti piacciono, cose che odi e che ami, tutte queste cose...dove vanno a finire? In un enorme server. E secondo te cosa ci fanno con queste cose? Indagini di mercato e varie similari, sanno le opinioni e i pensieri di tutti, potrebbero controllare quello che sto scrivendo e pensare, magari, che sono pazzo, o che ho indovinato tutto. La nostra percezione, quello che sentiamo, vediamo, odoriamo, è costantemente controllata dal nostro cervello. È possibile alterare la tua vista o fare in modo che al tuo cervello, attraverso meccanismi molto complicati nati dopo anni e anni di studi di comunicazioni, venga imposto di comportarti in un certo modo. La televisione ci fa vedere delle cose che ci fanno imbambolare davanti allo schermo. E intanto intorno a voi il mondo gira, non si ferma. Persone calcolano la vita dei prossimi dieci anni, vengono fatti prospetti dei futuri possibili e dei futuri impossibili e la vostra vita viene calcolata quasi al millimetro. È facile controllare un'essere umano, basta mettere le parole in un certo ordine e dette con un certo tono e il senso della frase può essere travisato in qualsiasi modo si desideri. Basti pensare al razzismo. Odio verso le altre razze, odio incondizionato verso chi viene ritenuto inferiore e sprovvisto dei requisiti per essere giusto. Non è vero, è paura. Paura di essere sopraffatti da qualcosa di nuovo, di sconosciuto, che piano piano la gente ha cominciato ad accettare. Ma qualcuno è ancora preso dalla paura delle altre razze, solo perchè gli viene detto che queste persone sono prive di anima e non meritevoli di fiducia. Ma queste cose chi gliele ha dette? Chi ha detto che i neri o gli asiatici o qualsiasi altra razza è priva di morale e costantemente alla ricerca di qualcuno da uccidere o da stuprare? Non conoscete queste persone, non ci avete mai parlato, non ci avete attraversato dei periodi brutti o dei periodi belli, non siete nemmeno sicuri della loro esistenza come persone. Le prime persone ignoranti che hanno avuto a che fare con queste razze sono rimaste spaventate e inorridite perchè erano diversi e i razzisti sono rimasti con questa paura. Trasmessa da musica, televisione, libri e altri metodi di comunicazione di massa. Attraverso questi metodi ci è stato detto che gli Stati Uniti d'America sono atterrati sulla luna, che Hitler ha sterminato milioni di persone solo perchè gli girava male e pensava che fossero inferiori, che i Romani hanno conquistato mezzo mondo e che i comunisti hanno tentato in continuazione, nel passato, di cominciare una guerra nucleare. Vi sono stati forniti documenti, prove che sono ritenute inconfutabili che è successo tutto questo. Vi viene detto attravererso giornali e telegiornali che gli immigrati sono dei criminali colpevoli di aver mandato in malora il paese. Ma voi eravate lì durante i fatti storici importanti come l'olocausto? O siete stati presenti a tutti i furti e tutti gli stupri che sono stati commessi in Italia negli ultimi anni? Avete visto coi vostri occhi cosa è successo? No. Non avete visto un beneamato cazzo. Nessuno ha visto niente, eppure... Tutti pensano di sapere come vanno le cose. La vostra percezione è solo vostra e così deve essere.
Ma questo ad alcune persone non va bene. Forse mi sbaglio, forse sono un paranoico del cazzo o completamente impazzito.

Il Matto.
(In preda a un momento di lucidità. O forse no.)

mercoledì 23 febbraio 2011

Blackout, Volume quattro - Odio profondo

Mi aggiro sui tetti, saltando e correndo senza fermarmi. Non sento la stanchezza. Mi fermo al ventesimo piano di un palazzo ben messo, in una zona ricca della città e osservo. Osservo una massa d'idioti ben vestiti, forti dei loro conti in banca, sorridenti e contenti di ciò che sono. Cosa sono? Bastardi. Avidi bastardi. Feccia, quasi peggio degli spacciatori che s'incontrano nei vicoli bui.

Io direi di pestarne uno, che ne dici?

No, meglio di no. Limitiamoci ad osservarli. Stronzi pieni di soldi che sniffano cocaina, pagano per avere del sesso da ragazzine appena maggiorenni.

In riproduzione: Beethoven - Sonata al Chiaro di Luna

Mi muovo furtivamente nell'ombra, dopo aver addocchiato uno di quegli ereditieri grassi e baffuti. Mi era sembrato di vederlo qualche sera fa aggirarsi nella "zona morta" della città. Per uno della sua elevatura sociale è una cosa insolita.
Cammina ciondolando, dominato dall'alcool che gli scorre nel sangue dopo quei drink annacquati che ha bevuto, tenendo stretta la sua ventiquattrore. Lo seguo, scivolando sulle grondaie, non emettendo alcun suono. Ad un vicolo si ferma per parlare con un tipo incappucciato, alto più o meno un metro e ottanta, ben piazzato. Scendo in strada, distante da loro, e m'avvicino, accucciato dietro ad un cassonetto. La distanza tra me e loro è abbastanza per sentir ciò che dicono.

"Hai sentito? B-Blackout è tornato in azione..."
"Non mi preoccupa quanti stupratori pesta quel maniaco in maschera. Sono più interessato a ciò che ha, capisci?"
"S-sì, ma io ho lo stesso paura. Mi sento... Osservato..."
"Sei inquieto, lo sento. Portami Blackout e avrai ciò che desideri.
"
"D-davvero?"
"Davvero."

I due si separano, e l'incappucciato sparisce nell'ombra. Cosa vuole da me? Lo scoprirò. Ora. Seguo di nuovo il grasso bastardo, facendo qualche rumore ogni tanto per spaventarlo. Trema, si guarda intorno, è spaesato. Ha paura. Con quattro sassi e la mia formidabile mira colpisco le lampadine dentro ai quattro principali lampioni che illuminano la strada, lasciandola totalmente nell'oscurità. Grazie alle mie... "Doti" la vista si abitua subito al buio, e riesco a vedere distintamente il bastardo.

"C-c-chi è là?! C-cosa v-v-vuoi da me?!"

Lo tiro per le gambe, da dietro, facendolo cadere. Sbatte la faccia, da un lato, contro il marciapiede freddo. Sputa sangue.

"P-perché lo f-f-fai!? Vuoi i s-soldi? Te li d-do! Tutti, p-prendili!"

Inizia a lanciar banconote di grosso taglio per terra. Con un gesto rapido le afferro e gliele ficco in bocca, quasi soffocandolo. Le sputa fuori, tossendo sangue.

"Rispondimi, o ti spezzo un braccio: Tu e l'incappucciato di prima cosa volete da me?", le mie parole escono con un tono roco e cupo.

"N-nulla! T-te lo g-giuro!"

Prendo il suo braccio destro e, facendo pressione sul gomito, glielo spezzo. Urla di dolore, piangendo e inginocchiandosi, implorando pietà.-

"O-okay... Volevo u-un campione del tuo s-sangue..."
"Perché?", lo afferro per la giacca, sbattendolo al muro, "A cosa ti serve il mio sangue?"
"S-sappiamo d-delle tue... P-potenzialità..."

Hrm, usare il mio sangue potenziato... Ma per cosa? Droga? Super-soldati?

"L'unico campione di sangue che avrai stanotte è il tuo, bastardo."

Lo sbatto per terra, riempendolo di pugni in faccia. Non riesco a fermarmi. Sono colto da una rabbia improvvisa. Colpisco senza pensare, senza freno. Colpisco fino a spaccarmi le nocche sull'asfalto, dopo avergli spappolato il cranio.
Un'altra nottata movimentata, eh bello?Molto movimentata, ragazzo, molto movimentata.

martedì 22 febbraio 2011

Realtà illusoria

La realtà è una cosa soggettiva. Non ci può essere un'idea comune della realtà, perché la mente altera tutto. Chi attesta che siamo vivi? Dei documenti? Dei test? Delle fotografie? Per quanto ne so ora potrei non esistere. Potrebbe essere tutto frutto della mia immaginazione. Potrei vivere in un universo creato dalla mia fantasia, nel caos più oscuro mentre pianeti morti collassano e suore vestite in spandex sparano ai Sovietici con tre braccia. La realtà la creiamo noi, chi in modo monotono, banale, stupido e chi, invece, in un modo non contemplato dalla società. Un uomo in smoking con una palla da biliardo al posto della testa, lui domina la mia realtà. L'oscurità mi riempie le palpebre e un'ombra scende velocemente sulla mia esistenza. Sono morto, ma sono ancora vivo.

martedì 15 febbraio 2011

Inferno

Un ammasso di vite intrecciate tra loro. Gente che non ti considera fino al giorno della tua morte, quando vedrà il tuo nome inciso su di una fottuta lapide.
Si ha un'idea distorta, dell'Inferno. Distorta e soggettiva, imposta da fanatiche leggende vecchie di millenni. L'Inferno non si trova sottoterra. L'Inferno non è un posto dove bruciano le fiamme eterne e dove i peccatori scontano la loro pena. L'Inferno è qui. Materializzato sotto forma di delusioni e sofferenza. Di addii e di litigi. Di disperazione e infelicità.
Io lo provo ogni giorno. Conduco la mia vita, avvolto nell'apatia, immaginandomi com'è provar qualcosa. Poi, quasi per un buffo scherzo del destino, provo qualcosa. Non è quel qualcosa che si riesce ad esprimere a parole, quanto più un concetto. Non è felicità, né nessun'altra di quelle puttanate da favolette per bambini ritardati. No, è qualcos'altro. Qualcosa di più. Un qualcosa che mi fa star bene, qualcosa di splendido, ma tanto splendido quanto effimero, perché sparisce. Com'è arrivato sparisce, lasciandomi vuoto. Quel qualcosa, mi accorgo, è un qualcuno. E lo vedo correre via. Allontanarsi da me, affievolirsi nel buio, fino a scomparire.
L'essere umano passa praticamente tutta la sua vita a rincorrere qualcuno. Non si sa perché, o almeno, si pensa di saperlo, ma è una menzogna. Tutto ciò che ci circonda è una menzogna. Non importa se la si farcisce di zuccherini o stronzate varie, rimane sempre una menzogna.
Una bellissima menzogna.
La Fine bussa alla tua porta. Apri.

It's hard to be a God.

Mi chiamano Dio. 

Sinceramente non so cosa significhi. Secondo i loro rituali religiosi sono in grado di controllare tutto, ho un disegno specifico per tutto e offro il perdono a chi ne ha bisogno. Almeno così gli sento dire. Non so neanche cosa voglia dire in realtà, i loro scopi mi sfuggono. Ho guardato dentro l'anima di un mio cosidetto "predicatore".
Vedo illusioni.
Illusioni e a volte vedo anche poca bontà e molto menzogne verso la propria anima. E' probabile che sappiano inconsciamente di mentire, ma questo sinceramente non mi tange. O forse sì. Non so più niente ormai. Ho il dono di vedere e sentire tutto, emozioni, suoni, odori, fatti. Ho tutto sotto il mio occhio vigile ma qualcosa continua a sfuggirmi, veloce, si muove da persona a persona a una velocità impressionante. E le persone sulla quale si posa questa ombra assumono un comportamento strano, diventano aggressive. Ho il sentore che quest'ombra, questa entità, sia denominata Male dagli esseri umani. Ne parlano come una minaccia, ma io ci vedo solamente qualcuno che fa il suo lavoro e sembra farlo veramente bene. Gli esseri umani sembrano quasi assuefatti dal Male che si insita dentro di loro. Alcuni ci provano gusto. Ho guardato dentro le loro anime e sono...consumate. Il Male usufruisce dei loro corpi per i suoi scopi e prosciuga lentamente l'anima. Una volta lasciato il corpo di solito la vittima chiede aiuto a me, Dio. Ma non capisco cosa lo chiedano a fare, non capisco le loro motivazioni. Qualcosa mi sfugge. Piangono, implorano il perdono per le loro azioni sconsiderate. Ma non sono stati loro, erano controllati. Ancora qualcosa mi sfugge, le loro anime riprendono vita col pentimento, le loro lacrime asciugano il sangue sulle loro mani, ma chiedono ancora aiuto. Poi periodi di tempo dopo sembrano quasi dimenticarsi del Male. Ma il Male non si dimentica di loro. Alcuni ne rimangono ancora vittima e poi ritornano a piangere. Ho visto molti sviluppi degli esseri umani, li seguo fin dalla loro prima evoluzione e ancora ho molte domande su di loro. Cosa pensano di fare nel futuro immediato? Continuano ad autodistruggersi e poi a chiedere perdono per le azioni sconsiderate che fanno. Guardarli mi...affascina. Ho iniziato a studiare il loro comportamento e il Male che li aiuta a commettere azioni sbagliate. La maggior parte di loro vede il Male come una cosa negativa, ma ancora non hanno capito che se non ci fosse il Male non ci sarebbe il Bene. Se non ci fosse il dolore come farebbero a riconoscere il tale dal bene che fanno, dalle buone azioni. Sento loro parlare di amore e odio senza che sappiano realmente cosa siano. Ho visto persone amate e persone che amano. Diventano...cieche. La consapevolezza che era in loro scompare, resta soltanto il proprio compagno o i propri compagni.

Ho visto l'uomo amare le altre razze e poi ho visto sempre l'uomo sterminarne altre senza la minima pietà. E in tutto questo vedo sempre un fattore comune.

La paura.

-Il Matto

sabato 12 febbraio 2011

Blackout, Volume tre - Una ferita aperta

Il corpo umano rimargina le ferite in poco tempo, per poi tornare a funzionar perfettamente. Ho incassato molti colpi. Troppi, per un essere umano normale. Pugni, calci, bastonate, colpi di catene, coltellate, spari. Tutte quelle ferite si sono chiuse in fretta, grazie alla mia abilità di guarire, lasciando solo delle cicatrici. Altre ferite, invece, non guariscono.
Mi ritrovo a pensare, seduto su di un cornicione, a venti piani da terra, alla mia vita.
Aspiro e butto fuori il fumo, riscaldandomi i polmoni di catrame.
Tutte le persone a cui tenevo non ci sono più. Ne restano solo i fantasmi che continuano a perseguitarmi. Parenti, amici, donne. Non è rimasto più nessuno. Sono sempre stato bene da solo, con l'altra mia personalità, ma ora non so se è ancora così. Non vedo più motivo di continuare in qualsiasi modo. Tutto ciò che faccio, ovvero difendere una città abbandonata alla violenza, mi sembra quasi immotivato. O forse sono diventato talmente apatico da fregarmene completamente di qualsiasi cosa. Forse è così. Forse non mi resta che continuare a vagare tra le nubi del mio fallimento, ubriaco di rimpianti, indossando una maschera che copre il mio volto.
O forse devo continuare a sfogar la mia rabbia, tra scazzottate, sparatorie e salti da un palazzo all'altro.Forse. La vita è piena d'incertezze. Non mi resta che continuare lungo questa via verso la dannazione e vedere cosa m'aspetta.

giovedì 10 febbraio 2011

Aracnophobia

Mi coglie nel buio. Ho paura. Sono solo, in una stanza, ed inizia. Una sorta di crisi epilettica. Cado a terra, in una posa disumana, con la bava alla bocca. La vista s'appanna, la mia mente è confusa. Perché? Perché tutto ciò? E perché a me? Ad un tratto una figura sinuosa esce fuori dalla penombra. Striscia lentamente verso di me. Tra uno spasmo e l'altro riesco a distinguere l'orripilante figura. Una sorta di macchia nera informe con lunghi artigli affilati al posto delle braccia, con due occhi d'un giallo acceso a forma ovale. File di denti accuminati delineano la sua bocca, e, quando la spalanca, una lingua lunga e bavosa esce fuori, dimenandosi. Si avvicina a me, chinandosi per star faccia a faccia con me. Il suo alito è fetido e il solo sentirlo mi da la nausea. Mi guarda con aria curiosa, sbattendo velocemente le palpebre. Gli spasmi aumentano, accompagnati dal terrore dovuto alla compagnia di quell'essere. Il mostro spalanca di nuovo le sue fauci, da cui fuoriescono un numero spropositato di ragni che s'avvicinano a me. Non posso muovermi, non posso evitartli. S'insinuano nelle mie cavità orali. Li sento dentro di me. Li sento dimenar le loro piccole zampe pelose, ed è una sensazione ripugnante. Migliaia di aracnidi stan deponendo le proprie uova nel mio corpo, mentre le mie crisi aumentano. Lo sento. Sto morendo. E non è una morte rapida ed indolore, no, è una morte atroce. Terribile. Da ogni poro del mio corpo escono delle minuscole zampe che bucano il mio corpo. I ragni all'interno divorano in gruppo le mie ossa, frantumandole. La mia fisionomia cambia. La bestia continua a guardarmi, soddisfatta, quasi. Dalla mia bocca escono fuori delle zampe di medie dimensioni, che si fanno spazio allargandomi la bocca. Sto soffocando nella mia stessa saliva, mentre la mia vista sparisce, insieme ai bulbi oculari divorati dai ragni. È buffo: Sono sempre stato aracnofobico.

lunedì 7 febbraio 2011

Visioni di un presente distorto

Contemplo l'oblio dall'alto, sputando in faccia alle buone intenzioni e all'ipocrisia dei falsi sorrisetti strappati per pietà. Mi sento sporco in questo mare di desolazione ed autocommiserazione, di vittimismo e tristezza. Guardo con superiore cinismo chi mi è inferiore, tanto da alienarmi dalla società per chiudermi in un limbo di follia, perversione e orrore. Visioni orripilanti, grida acute e unghie che graffiano per terra, trascinate dai loro stessi vizi, mi chiedono aiuto. Un aiuto negato con una spinta di disgusto da parte mia. Non si può migliorare una situazione così deleteria, si può solo viverla in una sorta di trance allucinogeno sospinto da forti e lunghi tiri di tumore avvolto in una cartina. Brucia, contorciti in pose straziate e doloranti. Soffri per i tuoi errori e i tuoi peccati. Spingi, non ti fermare, spingi e basta.

lunedì 31 gennaio 2011

Blackout, Volume due - Il punto debole

Se c'è una cosa a cui non ho mai resistito sono le donne. Non so perché, sinceramente, ma ho sempre voluto cercare la donna che mi completasse, anche se non ho mai avuto granché tempo per questo. Sono tornato nel mondo dei vivi da quanto? Una settimana? Forse due? Ho perso la cognizione del tempo, ma ancora sento quella voglia di trovar la donna perfetta per me.
Sono le due del mattino e il bar all'angolo, di cui ho dimenticato persino il nome, pur avendoci passato gran parte della mia "carriera" da vigilante, è ancora aperto. Decido di farmi un goccetto per schiarirmi le idee. Entro, e la puzza di fallimento, autocommiserazione e disperazione mi assale. Uomini deboli, stupidi e ubriachi stan seduti ai tavoli, con una bottiglia nella mano e un mazzo di carte nell'altra. Mi accendo una sigaretta per distogliere il mio olfatto da tale odore. Siedo al bancone ed ordino un bicchiere di whisky, quando al mio fianco si siede una meraviglia scesa in Terra. La guardo dal basso verso l'alto, mentre il fumo mi fa quasi lacrimare gli occhi, attraverso la maschera. Indossa degli anfibi, pantaloni neri stretti, una giacca nera lunga e porta dei guanti bianchi. Scuote la sua lunga chioma rossa, facendomi sentire il profumo che emana.

"Un bicchiere di quello che ha preso il tizio mascherato anche per me, barista.", dice.

Rimango immobile a fissarla, buttando il fumo dalle narici e aggiustandomi il cappello. Porta una maschera anche lei. Più fine della mia, le ricopre solo il contorno degli occhi. Arriva il bicchiere. Lo bevo alla goccia, bruciandomi il petto, sentendo quel calore che l'alcool ti da appena lo mandi giù. Era da tanto che non bevevo. Lei fa lo stesso, rimanendo impassibile.

"Hai intenzione di rimanere a fissarmi per tutta la notte, bello?"

"Hrn. No, non penso."
Guarda quant'è bella, James! Per me questa a letto ci da dentro come una troia!, mi ripete Blackout nella testa. Forse non ha tutti i torti.

"Piacere, io sono Cordelia. Cordelia Rayn.", allunga la mano per stringermela.

"Hrm, Blackout. Blackout e basta."

"Bel nome."

"Che ci fai in un posto come questo, Cordelia? Non sembra un luogo adatto per una bella donna come te."
Ah-ah! Inizi a far lo splendido, eh? Dille del tuo potere! Quello di far raggiungere tre orgasmi multipli alle donne in soli cinque secondi!Questa è una cosa che non dico alle donne.

"Avevo voglia di un drink e l'unico bar aperto era questo. E invece tu, Blackout, cosa ci fai qui? Cerchi qualcosa?"

"No, ero venuto per il tuo stesso motivo, più o meno."

"Forse il mio motivo era anche quello di trovare un bel super eroe che sappia difendermi durante una rissa tra ubriaconi..."
Mi ammicca. Okay, so cosa vuole fare, e la cosa non mi piace.
Rissa! Rissa! Rissa!
Lancia il bicchiere con precisione micidiale in testa ad uno dei vari ubriaconi seduti. In meno di tre secondi son già tutti incazzati e pronti a pestarmi. Yeah.

In riproduzione: Massive Attack - Angel
Sono in una decina. Il primo afferra una stecca da biliardo e corre verso di me. Prendo un bicchiere e glielo lancio dritto in mezzo agli occhi. Le scheggie lo accecano. Cade a terra, rotolandosi e imprecando.
Altri due, armati di coltello, corrono nella mia direzione. Corro verso di loro, scivolando all'ultimo e colpendoli con un pugno tirato da entrambe le mani ai loro gioielli di famiglia. Mi rialzo e con una testata spacco il naso ad un altro, tiro un calcio all'indietro colpendone un altro ancora. Sono rimasti in cinque. Afferro un tavolino e lo lancio sul gruppo, stendendone due. Gli altri tre mi accerchiano. Uno tira un pugno, lo blocco e gli spezzo il braccio. A quello davanti a me tiro una ginocchiata sulla bocca dello stomaco, facendolo cadere a terra. L'ultimo rimasto scappa. Meglio per lui.
Tempo di finire, e Cordelia non c'è più.
Stasera non si scopa, caro James.
Gi
à, forse hai ragione, Blackout.
Esco dal bar, un po' deluso, ma contento d'aver sfogato un po' di rabbia su qualche ubriacone. La ritroverò, quella Cordelia Rayn, dovessi cercar per tutta la città.

sabato 8 gennaio 2011

Blackout, Volume uno - Ciò che accade dietro la maschera, resta dietro la maschera.

Non è facile. Non è per niente facile. Indossare una maschera, intendo. L'elastico che stringe troppo non è nulla in confronto al fardello che una maschera ti da. L'indossarla diventa quasi un'ossessione. Ne senti il bisogno. Coprire chi sei realmente diventa parte della routine quotidiana. Con quell'oggetto addosso ti senti invincibile. Nessuno saprà mai chi sei, né se ne interesserà. Di prim'acchito ti libera da qualsiasi pensiero, ti senti te stesso, ma è tutta una bugia. Non sei quella maschera. Quella maschera è te.
Mi chiamo Quentin James Coltrane e sono un uomo mascherato.
Blackout. Lo chiamo "Blackout". Lui. L'altra parte di me. Lui è la maschera. Da quando indosso questa maschera non sono più me stesso. Forse non lo sono mai stato. Forse non sono mai esistito e tutto questo è solo frutto dell'immaginazione di Blackout. O forse lui è frutto della mia immaginazione. Forse.

Mi chiamo Blackout e sono una maschera. Io ho bisogno di lui e lui ha bisogno di me. Ci completiamo, senz'aver bisogno di nessun altro.
Forse cerco di nascondere qualcosa. Tutti noi nascondiamo qualcosa. Qualcosa così profondo che nemmeno sappiamo esiste.
Non riesco a togliermela. Non definitivamente. Quando mi guardo allo specchio, senza nulla a coprirmi il viso, vedo solo un uomo solo, pieno di cerotti e cicatrici. Un uomo che ha paura. Un uomo privo di emozioni. Un uomo morto. La maschera nasconde quell'uomo. Lo porta a sentirsi vivo, a sentirsi qualcosa di superiore. Ma, tutto ciò, è una bugia. Quell'uomo è solo, impaurito, privo d'emozioni e morto.
Mi chiamo Quentin James Coltrane e sono Blackout.